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Il Teatro Greco | Anfiteatro
Romano | Orecchio di Dionisio | Tempio
di Apollo | Il Castello Eurialo | Tempio
di Giove Olimpico
Ginnasio Romano | Fonte
Ciana | Fonte Aretusa | Duomo
| Santuario della Madonna delle
Lacrime
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Venne
situato da Ierone II nella stessa area dove esisteva un più antico teatro
che si ricollega nella memoria a Eschilo (ca. 524-456 a.C.) di
Eleusi, il primo dei grandi tragici greci, e a Epicarpo (VI-V
a.C.), siracusano, padre della commedia greca, ed anche ai loro
contemporanei commediografi Formide e Deinoloco. In questo
primo teatro venne rappresentata per la prima volta la tragedia di Eschilo
“I Persiani” e nel 476 a.C. la tragedia “Le Etnee”, scritta da
Eschilo per onorare l’atto di fondazione della città di Etna voluto da
Ierone I l’Etneo. Il nome dell’architetto di questo primo teatro,
Demokopos, ci viene tramandato dal mimografo Sofrone, vissuto alla fine
del sec. V a.C. In epoca romana venne adattato per rappresentazioni
circensi e acquatiche. Durante il regno di Carlo V le antiche pietre del
teatro, dell’anfiteatro e dell’ Ara di Ierone II, vennero asportate
per erigere le fortificazioni dell’Ortigia, subendo la stessa sorte di
molti nobili monumenti antichi della Sicilia. |
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La grandiosa costruzione dell’Anfiteatro risale al III-IV sec. a.C., uno dei più vasti della tardo romanità di Catania, Pompei e Pola. La sua forma ellittica misura nel diametro esterno m 140 x 119 e nell’arena m 70 x 40, con il centro occupato da un bacino servito da due canali. Nella parte inferiore venne scavato nella viva roccia, secondo la tradizione locale siracusana. Le gradinate erano ricoperte in origine da lastre litiche messe in opera sui gradini, onde prevenire il deterioramento della roccia su cui erano scavati. Alle estremità dell’asse maggiore due ingressi immettevano nell’arena quello a sud era in origine l’ingresso principale. Sotto le gradinate un corridoio a volta con varchi sul piano dell’arena consentiva l’ingresso delle belve e dei gladiatori per le cruenti rappresentazioni che vi si tenevano. |
Il nome di questa grotta artificiale, lunga m 65 per 23 di altezza, venne coniato da Michelangelo Merisi, il Caravaggio, quando nel 1586, in compagnia dell’ archeologo siracusano Vincenzo Mirabbella, visitò le Latomie del Paradiso e la grotta, per la rassomiglianza dell’ingresso della cavità, con l’orecchio umano. Da questo episodio e da questa denominazione caravaggesca, nacque la leggenda che Dionisio avesse fatto scavare la grotta per adibirla a carcere per ascoltare i discorsi dei prigionieri, data la straordinaria proprietà acustica ancora oggi esistente nella gigantesca caverna. |
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Viene ritenuto il più antico tempio dorico - periptero della Sicilia, stabile all’inizio del VI sec. a.C. Misura m 58,10 x 24,50, con 17 colonne sui lati lunghi e 6 sulle fronti. La cella era separata da due fila di colonne interne a doppio ordine in tre navate. Varie rilevazioni architettoniche ne confermano la sua arcaicità nella fattura delle colonne e nell’ampiezza degli intercolumni. Nei secoli il tempio ha subito varie trasformazioni e adattamenti. Divenne chiesa cristiana in epoca bizantina; moschea araba con i Mussulmani; basilica normanna in epoca medioevale e quindi nel ‘500 caserma spagnola detta del “Quartiere vecchio”. |
Deve
il nome alla morfologia del terreno su cui venne eretto, Eurialo =
Eurvelos (largo chiodo). Il grandioso sito archeologico rappresenta uno
dei più straordinari esempi dell’architettura militare greca
dell’antichità. Quest’area, situata al sommo dell’Epipoli, era
attraversata dalla strada che collega Siracusa ai suoi territori
dell’interno. Durante l’assedio ateniese (415-413 a.C.) l’altopiano
non era ancora fortificato e costituiva uno dei punti deboli del sistema
difensivo siracusano. Fu in questo frangente che venne avvertita la
necessità di munire la città di una potente roccaforte contro le insidie
esterne. L’ordine cronologico dei lavori di costruzione non trova
conferma dalla ricerca archeologica. Fu Dionigi il Vecchi, nell’arco di
sei anni, dal 402 al 397 a.C. ad erigere questo formidabile baluardo
difensivo, contro il quale si infranse la potenza dell’esercito
cartaginese. |
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Situate sulla riva destra del fiume Ciane si elevano le due restanti colonne doriche scanalate che facevano parte del tempio dedicato al signore dell’Olimpo. Costruito al principio del sec. VI a.C. era un tempio dorico, periptero esastilo, con 42 colonne, sei sulle fronti e 17 nei lati lunghi. |
Il complesso monumentale del cosiddetto Ginnasio, probabilmente costruito nella seconda metà del I sec. d.C., si articola in vari edifici. Racchiusi dagli avanzi di un quadriportico, persistono le rovine di un tempio preceduto da un altare e un edificio teatrale. Già esistente in età greca, vi era il sacello ove riposavano le spoglie di Timoleonte. | ![]() |
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Le rive del mitico fiume che sgorga dalla fonte offrono una particolare e suggestiva escursione a piedi o in barca, tra la opulente vegetazione delle piante di papiro, frassini e salici che crescono spontaneamente lungo tutto il percorso fluviale di sette chilometri dalla sorgente alla foce. Il nome greco le deriva dalla colorazione delle sue acque, cyanos – azzurro o più poeticamente, dal mito della ninfa Ciane figlia di Cianippo, sacerdote di Bacco a Siracusa, compagna di Proserpina nel giorno che questa fu rapita da Plutone. Ciane, nel tentativo di aiutarla strappandola dalle braccia del dio degli inferi, venne da questi trasformata in fronte. Dal 1984 è stata istituita la Riserva Naturale Orientata, ampliando al precedente Riserva Naturale del 1981, allo scopo di salvaguardare i valori ambientali del territorio unico nel suo genere in Europa per la crescita spontanea del papiro nella fantastica atmosfera del mitico mondo dei Greci. Nelle foto due immagini delle lussureggianti rive del Ciane. |
“Rifiato
augusto d’Alfeo fiore di Siracusa illustre, Ortigia”. Così
il poeta celebra il mito di Aretusa, ninfa di Artemide, figlia di Nereo e
Doride. Figura mitologica legata alle origini di Siracusa dalla leggenda:
“Un giorno Aretusa per rinfrescarsi dopo la caccia, si bagnò nel fiume
Alfeo il quale folgorato d’amore per la venusta ninfa, assunse sembianze
umane inseguendola. Artemide accorse in aiuto, trasforma Aretusa in fonte,
bissandola sotto terra e facendola riaffiorare nell’isoletta di Ortigia”.
La testa di Aretusa circondata da delfini guizzanti è un motivo
ricorrente dei rilievi monetali della zecca di Siracusa. |
![]() “Giace
della Sicania al golfo avanti un’isoletta
che a Plemmirio ondoso è
posta incontro, e dagli antichi è detta per
nome Ortigia. A quest’isola è fama, che
per vie sotto il mare il greco Alfeo vien,
da Doride intatto, infin d’Arcadia per
bocca d’Aretusa a mescolarsi con
l’onde di Sicilia. E qui del loco venerammo
i gran numi; indi varcammo del
paludoso Eloro i campi opimi”. (Virgilio; Eneide, libro III-1095) |
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La
basilica cristiana venne concepita con la trasformazione del preesistente
tempio di Atena nel VII sec. d.C. Eretto in età neoclassica dai
Dinomenidi in onore della dea, conserva nella navata di sinistra,
incassate nelle pareti, le dieci colonne doriche superstiti del tempio di
Atena. La facciata, distrutta dal terremoto del 1693, venne riedificata su
disegni di Andrea de Palma tra il 1725-1753. |
Santuario della Madonna delle Lacrime
Era
il mattino del 29 agosto, quando nella casa di Angelo Iannuso ed Antonina
Giusto improvvisamente un piccolo quadro di gesso con l’immagine del
cuore immacolato di Maria iniziò a lacrimare. Nei giorni seguenti il
volto della Madonna venne solcato più volte dalle lacrime, il 30 e il 31
agosto e ancora il 1 settembre. Lo straordinario fenomeno trasformò la
casa dei due modesti lavoratori in una sorta di santuario al quale
affluiva una folla sempre maggiore di persone ansiose di osservare e
toccare le lacrime sgorganti dai chiari occhi della Vergine. Una
commissione nominata dalla Curia arcivescovile riconobbe la natura umana
delle lacrime; il 19 maggio del 1954 il cardinale Ruffini, arcivescovo di
Palermo, pose la prima pietra dell’odierno santuario della Madonna delle
lacrime; realizzato su progetto di due architetti francesi: Michel
Andrault e Pierre Parat. |
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